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Nuove scoperte sul legame tra SIBO, IBS e tossine presenti nell’alimentazione

Nell’epoca attuale, SIBO e IBS sono due patologie estremamente diffuse, con tassi di penetrazione nella popolazione particolarmente elevati e considerevoli implicazioni negative sullo stato di salute delle persone. Per questi motivi, sono entrambe oggetto di crescente attenzione da parte del mondo medico e della ricerca scientifica. I risultati non mancano e incoraggiano anzi l’individuazione di nuove piste per la diagnostica e le terapie.

Definizione e identificazione diagnostica

La Sindrome da Iperproliferazione Batterica del Tenue (SIBO – Small intestine bacterial overgrowth) è una condizione connotata dalla presenza di batteri nell’intestino in concentrazione superiore a quella fisiologica. Tale situazione di iper-colonizzazione batterica interferisce con le funzioni dell’intestino tenue, vale a dire la digestione e il successivo assorbimento degli alimenti ingeriti.
I sintomi classici sono diarrea e gonfiore addominale, accompagnato da dolore cronico.

La Sindrome dell’Intestino Irritabile (IBS) – un tempo chiamata colite spastica – è anch’essa un disturbo grave e debilitante, che nei Paesi Occidentali colpisce circa il 10% della popolazione, in particolare donne tra i 20 e i 50 anni.
Si caratterizza per un senso di fastidio intenso, sino al dolore, nella zona addominale, associato a gonfiore e distensione dell’intestino, cui corrispondono pure alterazioni nelle sue funzioni fisiologiche.

Sino a poco tempo fa, entrambe le patologie erano di difficile riconoscimento diagnostico, sia per la possibilità che i sintomi si presentassero sfumati, sia per la tendenza degli stessi a regredire, salvo poi ripresentarsi in maniera acuta e invalidante. Molti pazienti rimanevano quindi frustrati nell’incertezza di una situazione personale che poteva essere persino indicata come “psico-somatica”.

Un gruppo di ricerca californiano ha, però, messo a punto due semplici esami del sangue che non solo offrono la possibilità di diagnosticare con certezza pressoché assoluta la sussistenza delle due patologie, ma che suggeriscono anche nuovi orientamenti per la cura.

I test diagnostici per SIBO, IBS e tossine presenti nell’alimentazione

Gli esami diagnostici – perfezionati al termine di un percorso di ricerca durato otto anni – si basano sull’individuazione di due anticorpi specifici, l’anti-Cdtb e l’anti-vinculin, liberati dall’organismo per contrastare le tossine derivanti da forme di avvelenamento alimentare.

In sintesi, la presenza dei due anticorpi nel sangue – ricorrente nell’insorgere e permanere della SIBO e dell’IBS – è conseguenza della reazione immunitaria dell’organismo a fronte di aggressioni esterne ed è penalizzante per l’intestino, poiché danneggia i nervi essenziali al funzionamento di un organo sano.

I test elaborati nel corso della ricerca sono in grado di rilevare i due marker biologici con una precisione dal 90 al 98% dei casi. La loro validazione è avvenuta mediante la creazione di un campione di circa 3.000 soggetti, in età compresa tra i 18 e i 65 anni, e l’analisi comparata dei referti ematici ottenuti da soggetti esenti da malattie gastrointestinali o affetti da SIBO, IBS, sindrome infiammatoria intestinale e intolleranze al glutine.

La possibilità di procedere a tali esami abbatte tempi e costi del percorso diagnostico, conferisce certezza e oggettività ai risultati e apre nuove strade alla fase terapeutica.

Nuovi orientamenti interpretativi e terapeutici per le due patologie

I lavori del gruppo di ricerca californiano non si sono limitati all’elaborazione di nuovi strumenti diagnostici, ma hanno posto le premesse per un vero e proprio cambio di paradigma nella comprensione e nel trattamento di SIBO e IBS, in particolare nelle forme che comprendono tra i loro sintomi episodi più o meno intensi di diarrea. L’idea sulla quale si è iniziato a lavorare è quella delle due sindromi come risultanti di una condizione autoimmune post-infettiva che colpisce i nervi dell’intestino.

Ulteriori approfondimenti saranno necessari, ma alcuni presupposti sono già acquisiti.
Così, ad esempio, si è notato che al termine di un ciclo terapeutico a base di antibiotici si deve frequentemente intervenire con farmaci procinetici per impedire ai batteri di riconquistare terreno.

Tali farmaci hanno evidentemente una funzione di stimolo all’operare dell’intestino, in maniera che lo stesso si attivi per aumentare l’onda di pulizia in precedenza compromessa dalla produzione di anticorpi. Il rallentamento delle funzioni ordinarie e l’intensa immissione di anticorpi in circolo sono eventi tipici della condizione autoimmune. L’intervento farmacologico è un correttivo a quel punto coerente.

Peraltro, la somministrazione di farmaci procinetici non è indispensabile.
Lo scenario cambia da un individuo all’altro: in alcuni casi, la terapia antibiotica ha avuto successo e il paziente non manifesta alcun tipo di ricaduta, anche per diversi anni; in altri, nel giro di sei mesi si ritrova al punto di partenza. Nel primo caso, non vi è alcun bisogno di introdurre il supplemento terapeutico, nel secondo è vivamente consigliato.

Anche questa caratteristica – la forte personalizzazione della risposta alle cure – è tipica delle patologie autoimmuni.
Naturalmente, alcune cautele si pongono in relazione alla doppia razione di farmaci somministrati: antibiotici e procinetici. Sono ormai innumerevoli gli studi che hanno dimostrato come la flora batterica e l’intero ambiente microbiotico dell’intestino siano sensibili all’assunzione di antibiotici.

L’aspetto positivo è che dosaggi ed effetti collaterali sono stati mitigati nel corso del tempo e attualmente si procede in sicurezza. Il trattamento dimostratosi più efficace appare pertanto essere quello con rifamixina. Il dosaggio e la durata della terapia devono, però, essere adeguati, con una proiezione su due settimane, pena l’insuccesso o la facile recidiva. A essa, viene poi associata la somministrazione di farmaci procinetici di nuova generazione.

Diverso invece il caso per le forme di IBS e SIBO associate a costipazione piuttosto che a diarrea. In questi casi, spesso interrelati, il disturbo è connesso a un eccesso di metano nell’intestino, determinato a sua volta dalla presenza di batteri. L’obiettivo dell’intervento terapeutico diventa quindi la mitigazione del metano, ottenibile mediante terapia antibiotica. Se il funzionamento dell’intestino ritorna agli standard della normalità, non sono necessari altri interventi.

Il problema è che il formarsi del metano può ripresentarsi, anche nel breve termine, nel giro di 1-2 mesi. Per questo, ovvero per stimolare l’onda di pulizia dell’intestino, la soluzione può consistere ancora nella somministrazione di farmaci procinetici. I meccanismi alla base sono diversi, ma l’approccio si rivela simile.

Un capitolo a parte riguarda infine l’approccio dietetico.
In generale, e in ragione di quanto si è visto in merito alle cause scatenanti l’IBS e la SIBO, la dieta è sostanzialmente neutra.
Tuttavia, potrebbe avere dei riflessi in termini di esacerbazione dei sintomi.

Uno dei suggerimenti più diffusi è di puntare pertanto su una dieta a bassa fermentazione, invece che sulla dieta a basso contenuto di FODMAPS che tende a impoverire il microbiota. Si tratta in pratica di ridurre a tolleranza soggettiva i cibi che fermentano: i carboidrati (frutta, verdura, legumi, cereali, pseudocereali e tuberi).

Conclusioni

I più recenti progetti di ricerca sulle patologie dell’intestino – SIBO e IBS in primis – hanno prodotto risultati tangibili. Nuovi test diagnostici, certi e sicuri, sono ora disponibili ed evidenziano come l’origine dei disturbi sia da attribuirsi alla risposta immunitaria dell’organismo a forme di avvelenamento.

I protocolli terapeutici disponibili sono in grado di eradicare le forme acute dei due disturbi, pur con la necessità di adottare cautele e cure complementari.

La questione irrisolta riguarda la natura delle tossine che scatenano i processi reattivi del corpo. Quasi certamente si tratta di elementi assunti con la dieta e collegati a cibi raffinati e industriali. Si esclude così il collegamento tra assunzione di specifiche categorie di alimenti (ad alta fermentazione) e insorgenza delle patologie.

Sulla questione della natura dell’avvelenamento sono comunque necessari ulteriori approfondimenti da parte della ricerca scientifica.

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